Alcuni per paura di scontrarsi o nella speranza che tutto si risolverà da sé, non rivolgono mai alcuna critica, neppure quando vorrebbero, neppure quando ritengono di aver ragione. Questo errore porta sia all’impossibilità di migliorare le nostre situazioni di vita, impedendo di modificare comportamenti negativi, sia a fraintendimenti, ambiguità e a tollerare situazioni non gradite. Saper portare una critica può essere invece molto utile e costruttivo.
Le critiche, infatti, non sono necessariamente negative e distruttive. Se formulate nel modo giusto e offerte con coraggio e assertività si rivelano preziosissime, se non per chi le riceve – che non sempre è aperto alla critica – senz’altro per chi le esprime.
Le critiche svalutative o distruttive, in modo più o meno diretto, tendono a sminuire l’altro, gli fanno provare vergogna, sono un oltraggio alla sua dignità e una ferita alla sua autostima. Chi rivolge queste critiche vuole vincere, dominare l’altro. Esempi di questo genere di critica sono: “Hai sbagliato”, “Non ti sopporto più”, “Guarda cosa hai fatto!”, “Sei cattivo”. Ed anche: “Fai sempre così”, “Non fai mai cosà”.
Le critiche costruttive o assertive suggeriscono, invece, utili indicazioni per migliorare un comportamento ritenuto inadeguato, dove, appunto, è il comportamento che si vorrebbe diverso e non la persona. Sono riferite come un utile punto di vista con il quale l’altro si può confrontare e col quale può non essere d’accordo. La critica costruttiva non si impone, ma lascia sempre lo spazio per il parere di chi riceve la stessa. Queste critiche “sane” non definiscono l’altro come incapace o sbagliato, non lo sminuiscono, soprattutto mai in presenza di persone davanti a cui potrebbe provare vergogna. Sono critiche motivate, ovvero viene fornito il “perché” della critica e offrono alternative di comportamento, ovvero la persona che critica non si limita a chiedere cosa vuole ma propone e chiede altre possibilità, favorendo un dialogo con l’altro, valorizzando la sua opinione e le sue proposte. Chi rivolge queste critiche non vuole dominare, ma vuole trovare una soluzione comune che porti possibilmente vantaggio ad entrambe le parti. Ecco degli esempi di questo tipo di critica: “Quando fai così, io mi sento…” oppure “E’ inutile in queste circostanze fare così… perché succede che… piuttosto fai così o così… che ne pensi? ti viene in mente qualche altra possibilità?”.
Ricordiamoci comunque che anche le critiche assertive vanno rivolte di tanto in tanto, con misura, perché l’eccesso di critiche, per quanto rivolte con garbo e seguendo gli accorgimenti sopra elencati, è comprensibilmente ricevuto dal criticato come non accettazione. La non accettazione produce la convinzione di non valere, di essere intrinsecamente sbagliati, la paura di non essere amati, il timore di esprimersi e parlare, diffidenza, inibizione, la creazione di maschere pur di essere accettati, la perdita di contatto con la nostra vera essenza. Alla lunga, critica dopo critica dopo critica, il messaggio implicito diventa “tu non mi vai bene come sei”. È difficile imparare ad accettarsi e stimarsi se le persone a noi più vicine ci esprimono sfiducia. Per tale motivo cerchiamo comunque di ridurre le critiche (costruttive!) al minimo, scegliamo con cura le nostre battaglie, abbandoniamo il “tentativo incalzante di insegnare, ammaestrare, ammonire” (Nanetti, p. 109), accettiamo di rinunciare talvolta ad avere ragione, per far sentire più amato il nostro compagno/coniuge/amico/figlio.
Ora voi direte: ma come, non era un errore quello di non esprimere una critica? Vi rispondo: Sì, sempre, se non la esprimiamo per paura. No, o non sempre, se non la esprimiamo per amore. In molte occasioni possiamo sicuramente fare a meno del braccio di ferro e la vittoria sarà per entrambe le parti.
Per questo articolo mi sono servita di ‘Assertività ed emozioni’ di Franco Nanetti.