Stati quali noia, passività, demotivazione spesso nascono in noi dal tentativo di compensare uno stato di tradimento della nostra autenticità esistenziale, dall’incapacità di soddisfare bisogni e desideri, di realizzare noi stessi. La cultura di stampo occidentale – fortemente competitiva – invita l’uomo (ed ormai anche la donna) ad essere vincente, spronandolo al successo a tutti i costi. Qui, invece, vogliamo rappresentare una diversa idea di successo e di vittoria, ovvero quella di un individuo che, indipendentemente dall’esito dei suoi sforzi, riesca a fare scelte coerenti coi propri valori, a superare momenti di crisi e conflitti relazionali, ad agire con coraggio ed empatia.
Ogni volta che subentrano delle difficoltà che ci sembrano insormontabili, siamo soliti lamentarci del destino sfavorevole o prendercela con gli altri. Spesso assumiamo un atteggiamento vittimistico o, al contrario, di denuncia. In entrambi i casi ci inganniamo perché, non volendo vedere le nostre responsabilità (evitate perché spesso tradotte come “colpe”, termine ben diverso), ci priviamo della possibilità di trasformare le situazioni e rimaniamo bloccati in una situazione di impotenza.
La nostra felicità, la nostra capacità di affermare noi stessi non dipendono dalle circostanze o dagli altri, ma dal modo in cui interpretiamo le situazioni avverse e sappiamo reagire alle persone con le quali entriamo in conflitto. Lincoln scriveva: “Non c’è nulla, proprio nulla, di estremamente grave, se noi non lo consideriamo tale”.
Non sono i fatti che ci mettono i bastoni tra le ruote, ma il nostro modo di valutarli. Senza questo incoraggiare la negazione della realtà, è però utile sforzarsi di comprendere il modo in cui ci rappresentiamo la realtà, le nostre “mappe interne”, le lenti con cui osserviamo gli eventi, affinché impariamo ad interpretare e reagire in modo costruttivo.
Quel che per qualcuno può essere una barriera, per un altro può essere un’occasione di apprendimento: dipende da come la persona valuta l’evento e, non meno importante, da come valuta se stesso e la propria capacità di far fronte. Tutto dipende dai nostri pensieri.
Questo è un primo punto fondamentale, a mio avviso. Una mappa da tenere a portata di mano nel nostro quotidiano per orientarci, allenandoci e allenandoci, fino a quando sapremo fare a meno della mappa e muoverci spontaneamente.
Detto ciò, torniamo all’evento, l’ostacolo, la difficoltà che ci capita è quella di scegliere tra un comportamento passivo aggressivo o assertivo. Spesso, come scrivevo, si tende a reagire o con un eccesso di passività, sottomissione, resa o con aggressività, rabbia e sopraffazione. Magari rendendosene conto, ma non riuscendo a fare diversamente.
Sudditanza e dominio sono linee di condotta destinate al fallimento.
Un comportamento passivo, anche se destinato in un primo momento a proteggerci da possibili ritorsioni e ad assicurarci l’amore di tutti, col passare del tempo non farà altro che alimentare sfiducia, incomprensioni, ledere la nostra autostima e scollegarci da noi stessi. Con un modo di interagire rinunciatario daremo l’immagine di persone ambigue e ci sentiremo frustrati per non essere in grado di ottenere ciò che desideriamo, sentendoci inferiori agli altri.
Allo stesso tempo, un comportamento aggressivo, anche se sarà utile nell’indurre gli altri a cedere alle nostre richieste, diventerà fonte di tensioni e rotture e porterà gli altri a rifiutarci.
L’arma vincente, dunque, per superare la maggior parte delle nostre difficoltà non sta nel compiacere né nel dominare, ma in un affermare se stessi per essere se stessi: l’agire assertivo. Vincente è colui che sa adoperare le proprie risorse per farsi valere, che sa esprimere i propri desideri, che sa difendere i propri spazi e diritti, che sa raggiungere i propri obiettivi senza mettere i piedi in testa a nessuno, senza voler vincere sull’altro, senza smettere di empatizzare, ascoltare, aiutare.
Passività e aggressività, che pur sembrano tanto diverse, sono due facce della stessa medaglia: la disistima di sé. L’agire assertivo presuppone invece una buona stima di sé e, come un muscolo, più viene usato e più la rafforza.
Per questo articolo mi sono servita di ‘Assertività ed emozioni’ di Franco Nanetti.
Come ti senti dopo aver letto l'articolo sul comportamento passivo aggressivo o assertivo?
0% 0% 50% 50% 0%